Non sempre i corsi per l’HACCP prendono in considerazione tutti gli aspetti possibili legati alla salvaguardia e tutela della salute del consumatore. Un aspetto spesso poco trattato è quello che riguarda la potabilità dell’acqua. Nonostante sia buona cosa introdurre nel manuale di autocontrollo aziendale un piano di analisi delle acque, con controlli periodici che attestino come venga costantemente monitorata anche l’acqua in azienda (soprattutto se questa è parte delle preparazioni stesse) non sempre si ha il controllo totale di questo aspetto. Anche nella gestione di realtà più ampie questo parametro va tenuto strettamente sotto controllo in modo da non introdurre nella popolazione eventuali pericoli di diversa natura. Il “caso romano” è un esempio lampante. E’, infatti, di recente emissione (27 febbraio 2014) l’ordinanza del Sindaco di Roma in cui viene fatto divieto dell’utilizzo dell’acqua per uso alimentare e per l’igiene personale nella zona d Roma Nord.
L’ordinanza è partita in seguito a controlli dell’acqua erogata dagli acquedotti presenti in questa ampia zona della città. L’acqua destinata al consumo umano deve essere salubre e priva di qualsiasi rischio per la salute del consumatore, in maniera del tutto analoga a quanto avviene per il resto dei prodotti alimentari immessi sul mercato od utilizzati in esercizi che operano nel settore alimentare. I risultati delle analisi infatti hanno definito i campioni inadatti al consumo umano in quanto presentano caratteristiche chimiche e batteriologiche non conformi, a causa del superamento di [foto] alcuni valori di riferimento. La normativa che disciplina questo aspetto infatti è estremamente precisa a riguardo. Il il D.Lgs. n°. 31/2001 e il D.lgs n° 27/2002, infatti, descrivono l’acqua ad uso umano come un acqua salubre e pulita e che soddisfi quanto più possibile requisiti fissati. E’ necessario che vengano rispettati definiti parametri microbiologici (come riportato nella parte A dell’Allegato I del D.lgs n° 31), quelli chimici (parte B dell’All. I) e altri parametri indicatori (specificati nella parte C dell’All. I).
Nel Decreto inoltre per ciascun parametro è indicato un valore di parametro, cioè un valore limite superato il quale occorre l’intervento dell’autorità competente con attuazione di misure atte a ripristinare la qualità dell’acqua. Tra i valori di parametro che maggiormente vengono presi in considerazione ci sono quelli definiti per i parametri indicatori (colore, odore, pH, sapore); per i parametri concernenti le sostanze chimiche tossiche (arsenico, piombo, antiparassitari) e per quelli microbiologici (enterococchi ed Escherichia coli). I controlli sono realizzati sia dai soggetti gestori (controlli interni) sia dalle autorità sanitarie ASL (controlli esterni), indispensabili per verificare le caratteristiche dell’acqua; solo i controlli dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) possono formalmente dare una valutazione della potabilità dell’acqua.
Gli esiti delle rilevazioni analitiche ottenute dall’ente gestore non hanno rilevanza esterna, ma la finalità dei controlli interni è nella costante verifica delle caratteristiche della qualità dell’acqua distribuita, nell’individuazione di improvvisi inquinamenti di carattere chimico e/o biologico, per poi stabilire gli interventi da adottare per tutelare le risorse idriche e la salute degli utenti. Il gestore non ha obblighi di effettuare analisi con una determinata frequenza, ma deve garantire la potabilità in ogni momento; per questo normalmente i controlli interni vengono effettuati più frequentemente rispetto a quanto previsto dalla normativa. Bisogna infatti considerare come sia lo stesso Regolamento CE 852/04 a citare tra i requisiti generali in materia di igiene applicabili a tutti gli operatori del settore alimentare, il rifornimento idrico.