(Rinnovabili.it) – Pasta o riso? Può sembrare una domanda retorica, ma quanto emerso dalla conferenza “Parliamo di riso” ospitato dalla Centrale dell’Acqua a Milano mette la scelta sotto una luce particolare: non una scelta solo di gusto, ma anche di salute. Spera in un cambio di rotta Giulia Maria Crespi, presidente onorario del Fai: «Questa conferenza indica la crescente consapevolezza verso il riso, un cereale prezioso per la salute dell’uomo: proprio per questo dovremmo coltivarlo senza ricorrere a prodotti chimici che impovericono il terreno».
Secondo i dati di Coldiretti, l’Italia è il primo produttore europeo di riso con 1,58 miliardi di chili: la produzione è concentrata in gran parte nelle regioni settentrionali, e sarebbe più che sufficiente a coprire il fabbisogno interno (ciò nonostante, viene importato dall’Asia riso a basso costo perlopiù all’insaputa del consumatore). Trattandosi quindi di una coltivazione intensiva, individuare e incentivare forme di produzione sostenibili rappresenta non solo un’opportunità ma anche un dovere verso l’ambiente e i consumatori, ha sottolineato Gian Marco Centinaio, ministro delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo. Con questo obiettivo il Mipaaft finanzia il progetto Risobiosystem che si propone di individuare e sviluppare le migliori pratiche di risicoltura biologica (al momento è in regime biologico circa il 10% delle risaie), valutandone anche la sostenibilità economica. Al progetto partecipano gruppi di esperti in una rete multidisciplinare e multisettoriale che rende possibile l’interazione e lo scambio di conoscenze nonché la raccolta di diversi dati relativi al processo di produzione.
Secondo l’Oms, – spiega il prof. Matteo Giannattasio dell’Università di Padova – le malattie cosiddette non trasmissibili (sovrappeso, obesità, diabete, cardiopatie, cancro) nel 2016 hanno causato circa il 70% dei decessi. Per non parlare di allergie e intolleranze, di celiachia e di diverse patologie a carico dell’apparato digerente legate ai nostri stili di vita alimentare. Da esperimenti effettuati su cavie in laboratorio si è riscontrato che il riso integrale svolge attività antiossidante e antinfiammatoria, controlla colesterolo e trigliceridi, è antidiabetico e anticancro. Meravigliose proprietà che attendono studi clinici che ne confermino gli stessi effetti sull’uomo.
Il riso integrale ha una composizione equilibrata (fibre, proteine facilmente digeribili, lisina), un basso contenuto di sodio, non contiene glutine né FODMAP (acronimo di Fermentabili Oligo-, Di- e Mono-saccaridi e Polioli, ovvero carboidrati che non possono essere digeriti o assorbiti bene; vengono invece metabolizzati dai batteri intestinali producendo gas in eccesso e provocando dolore addominale, diarrea o stitichezza). A parità di prodotto integrale, il riso si digerisce in 2 ore, la pasta in 6; l’assenza di glutine ne fa un alimento prezioso in caso di allergia alimentare al grano, di sindrome del colon irritabile e di celiachia; nelle diete contro la diarrea infantile, il riso è un rimedio antico e infallibile.
Le virtù del riso integrale, tuttavia, sono subordinate alla coltivazione biologica e all’assenza di pesticidi, che verrebbero ingeriti interamente attraverso il rivestimento esterno del chicco. Coltivare il riso in regime biologico comporta alcuni problemi da non sottovalutare: primi fra tutti le malattie fungine e le erbe infestanti: individuare tecniche di produzione sostenibili è quindi estremamente significativo per l’equilibrio ambientale e per il benessere consumatori. Molte sono le sperimentazioni in corso, come ad esempio la pacciamatura verde, dei ricercatori dell’Università statale di Milano, con i partner Crea, Cnr ed Enr.
Secondo i dietologi, un regime alimentare sano dipende anche da una dieta diversificata: l’esperto di genetica agraria Salvatore Ceccarelli (Honorary Fellow Biodiversity International) ha spiegato quanto sia difficile variare, perché nel mondo industrializzato sementi e pesticidi sono concentrati nelle mani di pochi produttori che alla varietà preferiscono l’uniformità. In un esperimento di miglioramento genetico partecipativo – ovvero svolto insieme agli agricoltori – in Siria negli anni Novanta, sono state coltivate piante della stessa specie ma geneticamente diverse. La ricerca scientifica ha dimostrato che queste piante «si evolvono continuamente modificando la loro epoca di maturazione in funzione dell’ambiente e diventando meglio adattate al progressivo cambiamento del clima, più produttive, più resistenti alle malattie e con una maggiore stabilità di rendimento. Di conseguenza, con queste popolazioni l’uso della chimica diventa superfluo».
Esperimenti analoghi si stanno facendo con il riso, anche se in Italia la ricerca partecipata è poco applicata. Stefano Bocchi (Università Statale di Milano) ha sottolineato l’importanza della ricerca partecipata in agricoltura biologica, perché coinvolge gli agricoltori nella sperimentazione per individuare nuove tecniche per la produzione di riso biologico. Una netta differenza con il passato, dato che i coltivatori «non devono accettare regole e pratiche imposte dall’alto, ma trovano nelle università e nelle istituzioni gli interlocutori con cui dialogare e collaborare per mettere a sistema nuove scoperte e tecniche». Un procedimento molto apprezzato anche da Fabio Brescacin, presidente di EcorNaturaSì, perché sta a dimostrare che «l’agricoltura biologica lavora su basi scientifiche».
L’abbinamento di agricoltura e scienza può portare a scoperte sorprendenti, come nel caso della startup Voltaplant, presente alla chiusura della conferenza: nel 2016 un gruppo di ricerca di botanici e ingegneri dell’Università di Pavia si accorsero che alcune piante possedevano proprietà elettriche tali da riuscire ad alimentare apparecchi elettronici. «Il sogno è vedere in un prossimo futuro le città illuminate da lampioni alimentati dalle aiole» ha dichiarato Daniel Alexei, membro della squadra.