Il nuovo dossier di RSE mostra come la produzione nazionale di energia elettrica e termica da biomassa legnosa sia ancora poco sfruttata, nonostante boschi e foreste italiane siano in continua crescita
Capacità, produzione, emissioni: viaggio nel mondo delle biomasse legnose
(Rinnovabili.it) – Biomasse legnose, una fonte di energia elogiata quanto criticata in Italia. Oggi il comparto vanta alcune filiere di ottima qualità ma mostra anche una diffusione ben sotto la sua reale potenzialità. Il motivo? Costi ed emissioni sono le principali preoccupazioni che ne frenano lo sviluppo, soprattutto visto le difficolta nazionali di redigere una strategia sostenibile vincente. C’è però chi contesta le criticità affibbiate alle biomasse legnose, smontando molti dei falsi miti legati al settore. Si tratta del nuovo dossier di RSE, la società di Ricerca sul Sistema Energetico controllata dal GSE.
Il documento fornisce un quadro oggettivo del comparto, entrando del merito della sostenibilità economica ed ambientale e mostrando come la produzione elettrica e termica da questa fonte sia ancora contenuta, nonostante boschi e foreste italiane siano in continua crescita.
Va precisato un elemento: quando si parla di biomassa legnosa non si fa riferimento solo al legno vergine, ma anche ai rifiuti forestali, ai residui agricoli, gli scarti dell’industria del legno e alla frazione umida industriale e urbana. Da tutti questi flussi oggi l’Italia produce circa 4TWh l’anno di energia elettrica e 86 TWh termici. Se incrementassimo lo sfruttamento delle biomasse legnose, spiega l’RSE, il contributo energetico derivante sarebbe “rilevante”. Nel dettaglio, se ci limitassimo a raggiungere i livelli medi europei di utilizzo di questa materia prima e sfruttassimo al meglio gli impianti di cogenerazione, potremmo installare ben 1900 MWe di nuova capacità rinnovabile e aumentare la produzione annuale a 7,5 TWh per energia elettrica e a 30 TWh per la termica. il tutto permettendo ai nostri boschi di continuare a crescere in termini di superficie occupata.
Un aumento in tal senso fa ovviamente puntare i riflettori sul dato emissivo. La questione non riguarda tanto l’impronta di carbonio, dal momento che valutando l’intero ciclo di vita la CO2 rilasciata è di appena qualche decina di grammi per kWh prodotto. Il vero fuoco dell’attenzione sono gli inquinanti locali. In questo caso il problema si presenta soprattutto quando la biomassa è utilizzata in piccole apparecchiature domestiche come camini o stufe: “sarebbe economicamente insostenibile abbattere gli inquinanti in questi casi”, spiega l’RSE.
Per impianti di taglia superiore invece è obbligatorio impiegare filtri a maniche, in grado di eliminare la quasi totalità delle polveri sottili. Parliamo dei cogeneratori da almeno qualche centinaio di kW, per i quali la società ha dimostrato sia possibile anche abbattere gran parte degli ossidi di azoto. “Una modifica a questi impianti per eliminare anche gli ossidi di azoto – aggiungono gli autori del documento – è fattibile in tempi rapidi e a costi ragionevoli”.
Questa riflessione ne comporta un’altra. Le biomasse legnose devono poter trovare il gusto spazio nella strategia di transizione energetica nazionale. Il rapporto mostra come, grazie una produttività molto più elevata rispetto le fer variabili, e alla sua programmabilità e flessibilità potrebbe sostituire gli impianti termoelettrici a gas e a carbone non solo per il carico di base, ma anche per il bilanciamento del sistema. “L’impiego in cogenerazione (produzione elettrica e termica combinate), con distribuzione del calore in reti di teleriscaldamento, assicura un’efficienza complessiva oltre l’80 per cento e riduce le emissioni di CO2 di oltre 10 volte rispetto alla produzione da gas naturale, separatamente di energia elettrica (cicli combinati) e termica (caldaie domestiche o condominiali)”.