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HACCP

Misurare la sicurezza (frittura e olio)

By 8 Dicembre 2021No Comments

Abbiamo visto in un precedente articolo come un parametro importante per la sicurezza del cibo che mangiamo sia la temperatura di trattamento e di conservazione del cibo. Le temperature (soprattutto quelle di cottura) possono però intervenire sul cibo in modi anche indesiderati, introducendo modifiche ad alcune sostanze o favorendo la produzione di nuove che possono avere conseguenze anche gravi per la salute di chi consuma il cibo. E’ questo il caso della frittura (e dei grassi in cui viene fatta) che, in determinate condizioni, può rappresentare appunto un pericolo spesso sottovalutato per la sicurezza del cibo.

Alimenti e HACCP - Sicurezza della frittura

La frittura è una cottura per convenzione e conduzione in cui il mezzo di trasmissione del calore è un grasso (generalmente olio, più raramente burro o strutto) e che presenta due modalità:

  • superficiale: adatta a cuocere prodotti di basso spessore e ampia superficie
  • per immersione: il cibo è completamente immerso nel grasso (olio) e la sua superficie raggiunge una temperatura uniforme

La sostanza grassa deve essere resistente alle alte temperature e con un punto di fumo (vedremo a breve) elevato. Infatti la frittura è un processo che mette a dura prova la stabilità del grasso utilizzato. La reazione che risulta dall’insieme delle temperature e dell’ossigeno con l’olio portato alle alte temperature necessarie porta alla formazione di sostanze nocive. La velocità e l’entità della degradazione (ossidazione) dipende dalla temperatura e dall’eventuale riutilizzo dell’olio per più fritture, nonchè dalla presenza di precedenti residui di frittura.

TEMPERATURA, OLIO E UNA FRITTURA SBAGLIATA

Una molecola di grasso consiste in un alcol (glicerina) e tre molecole di acido grasso. Durante il processo di frittura gli acidi grassi vengono separati dalla glicerina da diverse reazioni che si realizzano e che portano anche alla produzione di composti indesiderati:

  • Acroleina: è una aldeide, prodotto della degradazione della glicerina. E’ una sostanza molto epato-tossica e irritante per le mucose anche a basse concentrazioni
  • Acrilammide: è una sostanza chimica che si forma naturalmente negli alimenti contenenti amido durante la cottura ad alte temperature (quindi no solo frittura ma anche cottura al forno e alla griglia o durante i processi di trasformazione industriale a oltre 120° C e bassa umidità). Il principale processo chimico che causa ciò è noto come “reazione di Maillard” che ha una importanza notrevole per la produzione di cibi cotti gustosi in quanto responsabile dei loro aromi e loro gusto. L’acrilammide e la glicidammide, suo metabolita, sono genotossiche e cancerogene.
  • HCA (ammine eterocicliche): sono composti ciclici contenenti uno o più atomi di azoto che inseriti dall’OMS nella lista delle sostanze cancerogene nel Gruppo 1, ovvero sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo. Esistono infatti prove sufficienti per stabilire un nesso causale tra l’esposizione dell’uomo a tali sostanze e lo sviluppo dei tumori. Si formano quando carne o pesce vengono portate ad elevate temperature.
  • IPA (idrocarburi policiclici aromatici): si ritrovano nei cibi cotti, particolarmente nei processi di carbonizzazione ad alta temperatura, come la frittura o le cotture alla griglia delle carni o nel pesce affumicato. Sono inquinanti che generano allerta perché alcuni composti sono stati identificati come cancerogeni, mutageni e teratogeni.
Alimenti e HACCP - Punto di fumo oli comuni
Fonte: Il fatto alimentare

Un olio che venga scaldato ben prima di iniziare a bollire inizierà a produrre fumo in modo continuo. La temperatura a cui inizia il processo viene chiamata “punto di fumo” ed è il momento in cui glicerina e acidi grassi iniziano a separarsi, dando il via alla sua degradazione.

Oli ricchi di acidi grassi polinsaturi, come l’olio di mais o quello di soia, si degradano più velocemente di quelli ricchi di acidi grassi monoinsaturi come gli oli di oliva, di nocciole o di arachidi. Invece grassi contenenti una grande quantità di acidi grassi saturi (olio di palma o strutto) presentano una stabilità più marcata. In più conta molto anche il processo di produzione: più un olio è raffinato meno composti estranei presenta al suo interno, questo favorisce la sua stabilità al calore e innalza il punto di fumo.

La temperatura tipica di una frittura è di circa 180 °C. A temperature più basse il cibo si impregna di olio mentre a temperature più alte rischia di bruciare velocemente. È importante quindi che l’olio prescelto abbia un punto di fumo ben superiore alla temperatura di frittura.

E’ altrettanto importante monitorare la sua temperatura.

Va fatta una piccola precisazione riguardo l’olio di oliva extravergine che è ottenuto da una semplice spremitura meccanica senza nessun processo di raffinazione a seguire e che quindi non è un candidato ottimale al ruolo di buon olio di frittura. Inoltre un fattore che può influire sulla stabilità termica dell’olio d’oliva è anche la sua acidità (non quella percepita al palato che è data da composti chiamati polifenoli): meno è acido l’olio più si abbassa il punto di fumo, questo è il motivo percui nella tabella sopra si vede che il punto di fumo dell’olio extravergine varia in un intervallo molto ampio tra 160 e 240°C. E’ difficile conoscere le proprietà dell’olio a priori per decidere se può risultare buono alla frittura anche lo stesso olio prodotto in aree diverse può avere comportamenti diversi.

Gli oli maggiormente usati per la frittura degli alimenti sono quelli di palma, arachide e girasole. Il primo, data l’elevata percentuale in acidi grassi saturi, è molto stabile nei confronti dei processi di ossidazione e trova largo impiego a livello industriale. Da preferire son gli oli di palma a ridotto contenuto in digliceridi (<5%) per il contenimento della formazione di schiume e la migliore trasmissione del calore.

Nella ristorazione e per uso domestico prevale l’impiego delle varietà monoseme di arachide e girasole. Il primo, a carattere prettamente monoinsaturo, ha lo svantaggio di poter essere allergizzante (attenzione quindi alle informazioni fornite al cliente) per alcuni soggetti sensibili. L’olio di girasole, pur essendo a carattere polinsaturo, e quindi molto sensibile ai processi di termossidazione, è largamente impiegato perché conferisce agli alimenti un colore chiaro gradito al consumatore.

MA COSA SI MISURA?

Alimenti e HACCP - Test monouso per oli di frittura

La qualità dell’olio da cottura viene messa a repentaglio come visto principalmente dal calore e dall’ossigeno, questo comporta un impatto sul sapore dei cibi fritti in oli esausti. Tuttavia sostituire l’olio prima del tempo, soprattutto in certe attività si traduce in costi non necessari che possono impattare in maniera significativa sulla gestione dell’attività. Per gestire in maniera efficiente questo aspetto è quindi necessario avere una misura frequente della qualità dell’olio.

L’unico parametro analitico previsto dalle attuali normativa (e riconosciuto a livello internazionale da molte normative) è il contenuto in sostanze polari totali (TPS).

Questa determinazione rileva l’insieme dei quei composti, che si formano durante il trattamento termossidativo di un olio, aventi polarità superiore ai trigliceridi. Il Ministero della Salute conCircolare Ministeriale n.11 del 11 gennaio 1991 ha stabilito un valore limite di 25g/100g di TPS. Il superamento dei limiti indicati dal Circ. 11/01/1991 è perseguito penalmente ai sensi degli articoli 5 e 6 della Legge n. 283 del 1962.

Dal punto di vista tecnico i TPS sono però un parametro di controllo troppo generico che include sia sostanze innocue che potenzialmente dannose, e può essere facilmente sofisticato per diluizione. Inoltre il metodo ufficiale utilizzato per ila determinazione di TPS prevede l’impiego di personale qualificato e tempi lunghi e pertanto non è generalmente adottabile dagli Operatori del Settore Alimentare (OSA) nelle procedure di autocontrollo.

Le procedure di controllo visivo ed organolettico infatti (colore dell’olio, presenza/assenza di fumo e/o di schiuma) tradizionalmente utilizzati dagli operatori del settore della ristorazione per stabilire l’idoneità o la necessità di sostituzione dell’olio, purtroppo non trovano alcuna validità scientifica. Questi parametri sono generalmente indici di alterazioni molto superiori rispetto a quanto definito dai limiti di legge o comunque non sono correlati all’effettivo stato di degradazione degli oli.

metodi veloci colorimetrici non quantitativi disponibili sul mercato, basati sull’uso di stick o in fase liquida, risultano spesso inidonei. sono infatti sensibili alla presenza di particelle sospese o che comunque alterino il colore dell’olio a seguito del contratto con l’alimento. Sul mercato sono disponibili strumenti digitali in grado di indicare direttamente la percentuale di TPS presenti nell’olio. Da studi di comparazioni con il metodo previsto dalla Circolare n. 11 del 1991 si può dedurre che questi strumenti hanno una buona precisione e risultano essere un utile strumento per gestire secondo il metodo HACCP il rischio chimico correlato con il processo di frittura.

ALCUNI CONSIGLI PRATICI

Come abbiamo visto la temperatura e il punto di fumo del grasso giocano un’importante ruolo nella gestione del processo di frittura. Il problema si pone soprattutto nella ristorazione in cui il carico di lavoro delle friggitrici è discontinuo e quindi, in assenza di un sistema di monitoraggio dello stato di degradazione degli oli, non è possibile predisporre un programma razionale di sostituzione periodica.

Per preparare una frittura ottimale è consigliabile:

  • Immergere gli alimenti in piccole quantità (altrimenti i troppi grassi abbasseranno la temperatura e il cibo assorbirà troppo olio)
  • Alimenti impanati o passati in uovo e farina prima dell’immersione dovrebbero essere “battuti” per eliminare le piccole particelle che potrebbero rimanere poi nell’olio di frittura e carbonizzarsi inquinandolo
  • Utilizzare per la frittura solo gli oli o i grassi alimentari idonei a tale trattamento in quanto più resistenti al calore.
  • Curare una adeguata preparazione degli alimenti da friggere, evitando per quanto possibile la presenza di acqua e l’aggiunta di sale e spezie che accelerano l’alterazione degli oli e dei grassi. Il sale e le spezie dovrebbero essere aggiunti all’alimento, preferibilmente, dopo la frittura.
  • Evitare tassativamente che la temperatura dell’olio superi i 180°C. Temperature superiori ai 180°C accelerano infatti l’alterazione degli oli e dei grassi. È opportuno quindi munire la friggitrice di un termostato. Utilizzare quindi preferibilmente una friggitrice elettrica.
  • Dopo la frittura è bene agevolare mediante scolatura l’eliminazione dell’eccesso di olio assorbito dall’alimento.
  • Provvedere ad una frequente sostituzione degli oli e dei grassi. Vigilare sulla qualità dell’olio durante la frittura, tenendo presente che un olio molto usato si può già riconoscere dall’imbrunimento, dalla viscosità e dalla tendenza a produrre fumo durante la frittura.
  • Filtrare l’olio usato, se ancora atto alla frittura, su idonei sistemi e/o sostanze inerti (coadiuvanti di filtrazione); pulire a fondo il filtro e la vasca dell’olio. Le croste carbonizzate, i residui oleosi viscosi o i resti di un olio vecchio accelerano l’alterazione dell’olio.
  • Evitare tassativamente la pratica della “ricolmatura” (aggiunta di olio fresco all’olio usato). L’olio fresco si altera molto più rapidamente a contatto con l’olio usato.
  • Proteggere gli oli ed i grassi dalla luce.

Un aspetto correlato ma da non sottovalutare è quello relativo ai materiali e oggetti a contatto con gli alimenti (MOCA) destinati alla frittura e al contatto con alimenti fritti. Rilevante il ruolo degli imballaggi di carta e cartone destinati al trasporto di alimenti nel campo della ristorazione veloce (cartoni da asporto, carta, vaschette): tali imballaggi vengono a contatto con alimenti umidi e ricchi di grassi, condizioni queste che favoriscono il rilascio degli inquinanti e delle sostanze pericolose eventualmente presenti. Stesso discorso per la cessione da parte dei materiali plastici (teflon) impiegati nel rivestimento di padelle e attrezzature che costituisce un elemento di criticità, in considerazione delle drastiche condizioni di esercizio del processo di frittura. Importante qui è il processo di valutazione del rischio e dell’idoneità dei materiali.

UNO SMALTIMENTO COSCIENZIOSO

Vale appena la pena ricordare in questa sede che il possessore di oli esausti (contenenti più del 25% di sostanze polari) è tenuto a smaltire i medesimi secondo la normativa di riferimento che è il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, che disciplina la movimentazione di rifiuti speciali. Alla normativa indicata si possono affiancare altre leggi di differente origine, ovvero fiscale, per le quali il ristoratore deve dare evidenza dello smaltimento di una congrua quantità di olio a fronte di un acquisto (carico magazzino). Generalmente quindi lo smaltimento deve essere effettuato tramite contratto con azienda autorizzata al ritiro che rilascia anche la documentazione richiesta. Pur essendo consentito da specifici permessi locali lo smaltimento di oli esausti presso l’isola ecologica di appartenenza, questo diventa impraticabile per le attività per la mancanza di evidenze documentali.

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